Apple World File #1

Questo articolo segue di poco altri due — un primo e un secondo — che ho dedicato alla mia entrata nel mondo Apple. Si tratta di una questione molto precisa, visto che, a rigore, io sono e continuo ad essere un pieno sostenitore dei sistemi Linux e open source, e quindi ho scelto di aderire anche alla “filosofia della mela” per ragioni estremamente specifiche. Ma andiamo con ordine e facciamo un bel passo indietro…

Le premesse

Nel campo del personal computing le scelte, nel corso degli anni, si sono concentrate su quattro modalità piuttosto definite:

  1. Sistemi Windows — I primi in ordine cronologico ad aver invaso il mercato, e quelli ancora maggiormente in uso (nonché, a mio avviso, pessimi). Stiamo parlando di una ditta, la Microsoft, che ha deciso di optare per sistemi chiusi e proprietari inseriti a forza nella quasi totalità dei prodotti hardware dei grandi monopolisti del settore, e non solo. Ecco dunque che, prendendo un comune laptop o desktop di case come Acer, HP, Sony o Lenovo avrete sempre e comunque un sistema Windows preistallato, che solo attraverso un procedimento “per un po’ più esperti” potreste mettere in discussione.
  2. Sistemi Linux o affini derivati — Parliamo di sistemi operativi che derivano da kernel di base del tutto open source, via via adattati in “distribuzioni” (Fedora, Ubuntu, Mint, Arch, etc…) e ulteriori derivate con caratteristiche altamente personalizzabili, e ambienti grafici altrettanto vari. Questi sistemi possono essere istallati negli stessi computer che solitamente vengono forniti con Windows, i cosiddetti IBM compatibili, in modo da usufruire di tutti i vantaggi — tanti — dell’ambiente software libero e delle sue innumerevoli applicazioni.
  3. New entry: Chromebook — Da qualche tempo a questa parte il colosso Google ha iniziato a produrre dei computer (sostanzialmente laptop) molto semplificati, ma estremamente veloci e versatili, funzionanti solo e unicamente con un sistema operativo basato sul noto browser Chrome, con alcuni rintuzzamenti collaterali. In sostanza si tratta di computer che funzionano (quasi) unicamente laddove associati a una connessione Web (a parte usi basici che si possono anche implementare offline), e sfruttano applicazioni che girano appunto su browser (web app), entro un ecosistema logicamente brandizzato da Google. Si tratta, come detto, di sistemi integrati molto veloci, la cui parte hardware è comunque prodotta dalla stessa pluralità di case che caratterizza il mercato di Windows, ma che nonostante questo risultano piuttosto a fatica assimilabili a un comune computer per uso ufficio. Insomma: Android sta agli smartphone come ChromeOS sta ai chromebook.
  4. Macbook e prodotti Apple — Parliamo di una sola ditta produttrice che propone non solo laptop e desktop, ma anche smartphone, tablet e altre componenti compatibili la cui dotazione hardware è studiata e implementata in modalità perfettamente integrate al software, e viceversa. Siamo cioè al cospetto di prodotti che “out of the box” funzionano con un mix monolitico di macchine e applicazioni tutte uscenti dalla stessa casa madre, appunto la Apple (ovviamente in modalità totalmente chiusa e proprietaria).

Riassumendo, in materia di computer, escludendo l’uso unicamente “social” di un chromebook, abbiamo tre opzioni: restare con Windows (sistema lento, pesante, proprietario); sperimentare con Linux (ottenendo a basso costo dei PC estremamente versatili e veloci; oppure massimizzare i vantaggi di una perfetta integrazione mono-marca con un Macbook o PowerPC (che hanno un solo difetto, il costo estremamente elevato, pari a circa una media di tre volte tanto un acquisto basico nell’ipotesi di acquisto tra gli IBM compatibili).

Questo significa che un Mac è solo un puro status symbol? No, assolutamente no. O meglio, cerchiamo di dirla tutta… Ho visto spesso giovinastri neo-universitari trascinare i rispettivi e ignoranti genitori in un Apple Store con la scusa di farsi comprare un Mac “in quanto eccelso per lo studio”, e non ho alcun problema a dire che almeno in novantanove casi su cento tale richiesta non solo copre una banale volontà di farsi belli al cospetto della comunità studentesca, e non certo di distinguersi come primi della classe, ma risulta del tutto fuori luogo anche in via generale. Ossia, un Mac è assolutamente sovradimensionato certamente per qualsiasi impiego ai fini di studio, e può essere tranquillamente sostituito con un computer ben più economico. La stessa cosa può dirsi per funzioni strettamente lavorative come scrivere mail, redigere rapporti e creare presentazioni e fogli dic alcolo. Più che altro, un Mac può rivelarsi strumento assolutamente determinante per ottimizzare e incrementare la produttività di chi, già impegnato in lavori multipli, necessita di aumentare la velocità di esecuzione e godere appieno delle funzioni di ecosistema tipiche dei sistemi Apple, che permettono di passare agevolmente da iPhone a Mac, e da Mac a iPad, in maniera del tutto fluida e consequenziale.

In sintesi, lasciando per un attimo da parte contesti specifici dove il Mac è quasi obbligatorio — grafica e architettura in primis — una scelta del genere diventa altamente interessante se abbiamo bisogno di una marcia in più per governare logiche multitasking.

Nel mio caso

Veniamo a me. Come detto, sono sempre stato, e sono a tutt’oggi, un utente Linux. Sulla mia scrivania ci sono due laptop: uno è un vecchio Compaq con EndeavourOS (Arch based), che ho recentemente “pompato” con 4 giga aggiuntivi di RAM e che funziona alla grande; l’altro è invece un Chromebook HP, che uso unicamente per aggiornare in modo semplice e rapido i miei siti.

Di per sé, quindi, non ho bisogno ora di un Macbook. Ciò di cui ho avuto bisogno è appunto un iPhone, che come detto ho acquistato e già sto usando con grande soddisfazione. Il problema è un altro: un qualsiasi dispositivo iPhone nasce per essere un tassello all’interno di un preciso ecosistema, quindi è ovvio che io “metta in cantiere” anche l’acquisto di un Macbook. Magari non ora, ma in un futuro abbastanza prossimo.

Per quanto riguarda la parte smartphone, da subito il mio iPhone 12 — modello non nuovissimo, ma che vi assicuro funziona alla perfezione e non mi rende assolutamente desideroso di alcun upgrade — si è posto come una macchina piuttosto diversa dal mio Xiaomi 14C, col quale peraltro mi sono sempre trovato e continuo a trovarmi bene.

Lo Xiaomi Android è più che mai uno strumento di lavoro mainstream. Lo uso per home banking, social networking (appunto) mainstream (nel mio caso Facebook, Instagram e Threads), navigazione, mappe, soprattutto messaggistica istantanea con vari servizi (Telegram, Whatsapp, Signal e altri), e numerose applicazioni di carattere finanziario alternativo al comparto bancario. Insomma, si tratta di un luogo volutamente affollato.

Usando iPhone si ha invece l’idea di essere al cospetto di uno strumento autosufficiente. In particolare, con iPhone sento di costruire un mio mondo assolutamente personale. Ecco perché ho deciso di farmi una SIM (anzi, eSIM) totalmente nuova, con un numero che non darò a nessuno. Voglio che questo strumento sia mio e solo mio.

Insomma, un ausilio di produttività personale. In generale, nelle prossime puntate, andrò a definire una sorta di diario d’uso che possa essere utile per me.

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