Premesse formali
Le narrazioni seriali si dividono sostanzialmente in due grandi categorie, che attingono direttamente da quella che un tempo si chiamava narrativa d’appendice, a sua volta veicolata dallo sviluppo sempre più fitto e pervasivo della stampa informativa, ossia dei giornali o delle gazzette, come un tempo si chiamavano. Queste due categorie possono fungere da estremi, entro i quali, piuttosto ovviamente, è possibile individuare infiniti casi intermedi.
Il primo estremo è quello della serialità autoconclusiva. Il secondo è quello della serialità funzionale. La prima usa la molteplicità come strumento cumulativo, che sfrutta la forza estetica del collezionare. La seconda la utilizza, appunto, per svolgere una funzione, un servizio narrativo che spezza una storia in più parti per renderla fruibile al meglio.
Nel primo caso, il singolo “pezzo” che compone la narrazione seriale, ossia quello che noi oggi banalmente identifichiamo nell’episodio della specifica stagione di una serie televisiva, costituisce una narrazione a sé stante, che pone delle premesse, le sviluppa e le conclude all’interno dell’episodio stesso (o eccezionalmente in due o più episodi, qualora ci si trovi o si vada a sconfinare in una sottocategoria che comunque vedremo più avanti).
Nel secondo, invece, il singolo episodio svolge la funzione di frammento di una narrazione più estesa. Ossia, l’episodio è quello che possiamo agevolmente considerare come una sorta di capitolo nell’economia di un romanzo.
La prima categoria allude quindi a una collezione di storie. La seconda è invece una storia che viene raccontata episodio dopo episodio, laddove la serialità allude dunque a una convenienza funzionale al racconto complessivo.
Le sottocategorie che vanno a costituire i corollari a questa grande distinzione sono ovviamente molteplici, per non dire infinitamente collocabili tra i due estremi lungo la scia delle più disparate sfumature. Da questo punto di vista, l’esempio pratico credo sia la modalità migliore per intenderci.
Serialità autoconclusiva
Caso 1: le narrazioni antologiche
In questo caso, ogni singolo episodio altro non è che un racconto a sé stante, che non ha alcuna relazione con qualsiasi altro episodio dal punto di vista dei personaggi, delle ambientazioni e delle storie specifiche in esso raccontate. Ovvero, la sola caratteristica che può spesso accomunare tutte le narrazioni all’interno di una serie di questo genere è di carattere tematico: racconti fantastici, gotici, polizieschi, e via discorrendo.
L’esempio più ovvio è Ai Confini della Realtà: sono storie brevi, tutte diverse tra loro, ma accomunate da una natura fortemente “weird” e fantastica, peraltro caratterizzata da elementi stilistici molto precisi.
Caso 2: le avventure o i casi di X e Y nel mondo di Z
Tutti noi conosciamo Le Avventure di Sherlock Holmes: si tratta di racconti del tutto autoconclusivi, che però condividono gli stessi personaggi e le stesse ambientazioni. Le singole narrazioni possono assumere la configurazione di avventure, ovvero di “casi” da risolvere, con un inizio, un centro e una conclusione. A rigore, ovvero in generale e salvo sporadici rimandi alla linea generale del tempo in relazione alla storia dei personaggi, i singoli racconti, ovvero episodi, potrebbero essere letti in qualsiasi ordine.
Ho citato il noto investigatore privato, ma avrei potuto anche dire X-Files, forse la serie più rappresentativa di questa tipologia. Ad ogni puntata i nostri due eroi devono risolvere un caso, no? Quindi il sottotitolo avrebbe potuto tranquillamente essere le avventure di Mulder e Scully nel mondo dei fenomeni paranormali.
Serialità funzionale
Posto che la stessa epopea dei sopraccitati Mulder e Scully a un certo punto dilaga in questa seconda, grande categoria, l’esempio più lampante di quello che tanto tempo fa chiamavamo “sceneggiato” è sicuramente Stranger Things, ovvero una storia che si sviluppa in grandi avventure (le stagioni) a loro volta suddivise in episodi.
La serialità è in questo caso una funzione al servizio di storie più articolate e corali, che, esattamente come in un romanzo, devono prendersi il loro tempo per poter essere raccontate. Oppure, più banalmente (anche se la cosa era molto più frequente negli sceneggiati fino a una ventina d’anni fa, necessariamente legati al mezzo televisivo “catodico”), per banali esigenze della produzione: audience, volontà di tenere alla corda il pubblico, etc…
Ovviamente anche un “capitolo” può essere snocciolato allo spettatore attraverso morfologie e tecniche che lo facciano assomigliare a una vera e propria “avventura”, ma questo non significa episodio autoconclusivo. Ogni episodio rimane infatti strutturato come “funzione” all’interno di una storia che solo alla fine di tutti gli episodi potrà dirsi conclusa.
Remix
Come credo evidente, queste due tipologie opposte possono essere mescolate in commistioni varie. Come noto, specie nella commedia, una stessa stagione può porgere singole avventure autoconclusive, ma anche una questione iniziale o tema conduttore che si risolve all’ultima puntata.
Analogamente, ci sono serie che partono come avventure e poi si trasformano lentamente in sceneggiati. Si pensi a Supernatural, che esordisce come setting per accogliere indagini su quello che in gergo si dice Monster of the Week, e poi sfuma in una soap opera a sfondo gotico e urban fantasy.
Perché ho parlato di questo?
Ho speso tutte queste parole per dire due cose. La prima è che a me piacciono tutte le narrazioni, qualora (ovviamente) interessanti ed evocative, indipendentemente dallo schema di gioco che adottano; ma nutro una predilezione per la serialità del primo tipo, avventurosa o antologica che sia. La seconda è che ritengo che tale forma sia piuttosto in declino rispetto al passato, dettaglio che incrementa ulteriormente il mio amore.
La cosa riguarda anche il mercato libresco. Letteralmente, un autentico capitolo a parte…
Negli anni Sessanta e Settanta andavano alla grande le raccolte di genere. Celebri attori come Christopher Lee e Vincent Price hanno firmato prefazioni a numerosi titoli che inserivano in ragionate antologie racconti sia classici che più recenti. Alcuni di questi sono diventati storici, come l’antologia di racconti Al Cinema con il Mostro. Per non parlare delle raccolte nate sotto l’egida di nomi ancora più illustri, primo fra tutti Alfred Hitchcock. A suo tempo ci ho dedicato anche una bacheca di Pinterest.
Ebbene, questo tipo di serialità mi manca molto. A mancarmi non è solo l’oggetto, ma la ritmica esistenziale che ha permesso a quello specifico oggetto di essere la normalità in un determinato spaziotempo. Gli anni Ottanta e Novanta, i mercatini estivi di libri nei luoghi di villeggiatura, le storiche collane dedicate alla narrativa di genere (termine che all’epoca non denotava le stronzate del nostro tempo, ma semplicemente i generi letterari popolari, come fantasy, mystery, gotico, e via discorrendo) senza contare ciò che da solo meriterebbe un intero articolo: il lento ma inesorabile fenomeno di scomparsa delle librerie nelle nostre città, con specifico riferimento ai circuiti dedicati al fuori catalogo, i cosiddetti remainders.
Questo mondo è scomparso. O almeno è uscito di scena, e non si comprende dove stia agendo, per chi e perché.
E mi andava di dirlo.